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Una nuova sanità per i cittadini a partire dal territorio

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L’emergenza sanitaria del 2020 e 2021 ha messo in luce la debolezza della medicina territoriale che, pur se negata da circa un decennio, si è evidenziata con grande preoccupazione della nazione italiana tutta.

Il problema territorio

Era infatti noto, anche se sottaciuto da amministratori e media compiacenti, che le cause sono molteplici, stratificate e da ricercare anche tra i gestori. Sono, infatti, di tipo gestionale, burocratico, politico, ma anche epidemiologiche e sanitarie.

Burocratizzazione, perdita di competenze, isolamento operativo, eccessiva sindacalizzazione, medicina difensiva e ridotta empatia di fronte ad una utenza sempre più anziana, esigente ed afflitta da problemi prevalentemente cronici ha indirizzato i cittadini ad una visione sanitaria “ospedalocentrica” rendendo  evidenti i problemi anche nell’area ospedaliera. Abbiamo così assistito ai ben noti pronto soccorso perennemente intasati da file interminabili, ricoveri impropri, fenomeni di violenza. Ciò ha portato di conseguenza a fenomeni di insofferenza e di burn-out nei sanitari ospedalieri che, con scarsi incentivi economici e rischi sempre maggiori, hanno cercato vie alternative meno rischiose e più remunerative. Nel mezzo i cittadini che hanno vissuto un decadimento delle cure e della possibilità di accedervi. Nonostante la diffusa sofferenza di tutti, i costi della spesa sanitaria sono lievitati senza raggiungere la soddisfazione sia dei cittadini che dei gestori della sanità. Un panorama alquanto preoccupante che ha portato certa politica ad invocare, con facile demagogia, il semplice incremento della spesa sanitaria.

La cura

sanitaMa la soluzione era ben diversa: occorreva intervenire profondamente nei modelli gestionali alla ricerca di una medicina personalizzata, più organizzata e competente.  Più vicina ai cittadini i quali, da parte loro, dovrebbero partecipare attivamente con comportamenti sia di prevenzione che di cura consapevole ed attiva. E’ un cambio di paradigma: non più “ospedalocentrico”, ma di integrazione ospedale-territorio. Dove “un nuovo territorio” previene e tratta la maggior parte delle malattie e riserva agli ospedali, dialoganti con esso, i casi acuti e particolarmente complessi. Si sono quindi cercati modelli gestionali innovativi che potessero agire da filtro efficiente agli ospedali ridistribuendo l’impegno sanitario e garantendo una migliore soddisfazione ed efficienza dei servizi socio-sanitari.

L’occasione è nata dal PNNR nella missione-6 concretizzatasi nel DM 77/22 che ha definito l’architettura del nuovo progetto d’intervento. Una delle soluzioni più semplici, innovative ed adeguate allo sviluppo tecnologico della nostra società era comunque già nota da tempo e consisteva nell’adozione del fascicolo sanitario elettronico punto unico di condivisione e aggregazione delle informazioni rilevanti e di tutti i documenti sanitari e socio-sanitari generati dai vari attori del SSN e dei servizi socio-sanitari regionali. Un cassetto dove dovrebbe essere riposta tutta la nostra documentazione sanitaria, ma anche uno strumento per il controllo, la gestione e programmazione di una sanità quanto più personalizzata possibile ed aderente ai bisogni dei cittadini. Per la sua adozione si sono sprecati fiumi di parole ed inchiostro. Le prime linee guida nazionali risalgono, infatti, al 10-02-11 (Conferenza Stato – Regioni, ministro F. Fazio) e già dal 2012 in successione i Governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi si sarebbero prefissati l’obiettivo di attivarlo.

Ma dobbiamo arrivare alle ultime Linee guida (GU Serie Generale n.160 del 11-07-2022) ed al DECRETO del 7 settembre 2023 (FSE 2.0) affinchè, a seguito del DM 77/22, si sia potuto cominciare a vederne l’attivazione pur se a macchia di leopardo. Il problema è legato alla volontà politico-sindacale di coloro i quali dovrebbero alimentarlo condizionata da interventi economici.

Cosa prevede la nuova medicina del territorio

Le strutture funzionali ed organizzative di seguito illustrate sono alla base del nuovo modello volto anche ad evitare ricoveri impropri e dovrebbero essere tradotte in pratica entro il 2026.

  • Ospedali di Comunità
    Strutture sanitarie con 20 posti letto che offrono assistenza sanitaria a bassa intensità assistenziale finalizzati sia alla presa in carico dei pazienti con patologie croniche o fragilità.
  • Case della Comunità
    Strutture aperte 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che offrono servizi sanitari e socio-sanitari di prossimità alla popolazione che dovranno realizzarsi ogni 40-50mila abitanti, cioè almeno 1.350 a livello nazionale.
  • Centrale Operativa 116117
    Numero Europeo Armonizzato – NEA per le cure mediche non urgenti: è il servizio telefonico gratuito a disposizione di tutta la popolazione, 24 ore al giorno tutti i giorni, da contattare per ogni esigenza sanitaria e sociosanitaria a bassa intensità assistenziale.
  • Centrali Operative Territoriali (COT)
    Strutture – delle quali è prevista la realizzazione di almeno 600 unità – che svolgono una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti al fine di assicurare continuità, accessibilità ed integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria. Servono a garantire l’accesso ai servizi sanitari in modo tempestivo e appropriato, ridurre i tempi di attesa e migliorare la qualità dei servizi sanitari offerti ai pazienti.
  • Unità di Continuità Assistenziale (UCA)
    Una ogni 100.000 abitanti, sono costituite da un’équipe sanitaria mobile distrettuale in grado di  garantire l’assistenza medica domiciliare e la temporanea presa in carico di pazienti o comunità, in condizioni clinico-assistenziali di particolare complessità, che non possono recarsi presso gli ambulatori medici.
  • Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
    È un servizio sanitario già presente in passato, ma spesso sottodimensionato in termini di risorse umane. L’ADI dovrà garantire l’assistenza domiciliare integrata a pazienti che necessitano di cure mediche ed infermieristiche caratterizzate da un livello di intensità e complessità assistenziale variabile nell’ambito di specifici percorsi di cura e di un piano personalizzato di assistenza
  • Rete delle cure Palliative

È costituita da servizi e strutture in grado di garantire la presa in carico globale dell’assistito e del suo nucleo familiare, in ambito ospedaliero, con l’attività di consulenza nelle U.O., ambulatoriale, domiciliare e in hospice.  Le cure palliative sono rivolte a malati di qualunque età e non sono prerogativa della fase terminale della malattia in quanto possono affiancarsi alle cure attive fin dalle fasi precoci della malattia cronico-degenerativa, controllare i sintomi durante le diverse evoluzioni della malattia, prevenendo o attenuando gli effetti del declino funzionale

Per tale organizzazione è anche prevista una nuova figura professionale già presente in altre nazioni: l’infermiere di Famiglia e Comunità (IFC).  Si tratta di una figura professionale che assicurerà l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità. Sarà previsto uno ogni 3.000 abitanti e dovrà divenire la figura di riferimento dei processi infermieristici in ambito familiare e di comunità. Sarà portatore di conoscenze e competenze specialistiche nelle cure primarie e sanità pubblica e dovrà possedere delle competenze digitali che consentano di utilizzare al meglio i sistemi e i dispositivi messi a disposizione dall’organizzazione per garantire la miglior efficienza nello scambio delle informazioni tra tutti i soggetti coinvolti nel processo di cura.

sanita3Come già detto elementi fondamentali per la realizzazione del nuovo progetto di assistenza saranno la piena attuazione del fascicolo Sanitario Elettronico e la telemedicina. Quest’ultima con finalità preventive diagnostiche terapeutiche e riabilitative. Sono previsti, nell’ambito del telecontrollo e teleconsulto: televisita, teleconsulenza medico-sanitaria, teleassistenza, telemonitoraggio.

Questa organizzazione non sarà possibile se, come già detto, non prevederà anche la partecipazione dei pazienti con un nuovo ruolo di advocacy ovvero di quel processo civile con cui i cittadini cercano di dare appoggio ad una politica socio-sanitaria, economica e legislativa volta ad influenzare la distribuzione delle risorse umane e monetarie presenti. In questo quadro, infatti, il Decreto Ministeriale riconosce un ruolo fondamentale alle associazioni dei pazienti, che saranno coinvolte nei processi decisionali e di controllo nel campo delle Case della Comunità. Essi dovranno infatti co-progettare i servizi, partecipare alla programmazione e seguire la realizzazione, monitorando anche le attività promosse. Una novità che offre opportunità mai avute in precedenza, ma carica anche di responsabilità per i rappresentanti dei pazienti.

Problemi in corso d’opera:

Soprattutto i tempi legati alla realizzazione/riconversione degli edifici ed il reperimento di qualificate risorse umane. In atto, ad esempio, è presente una diatriba sulla posizione giuridica contrattuale dei medici di famiglia che il Ministero preferirebbe a regime contrattuale di dipendenza.  Fnomceo, Smi e Fimmg, Cgil ed ENPAM sono contrari, favorevole Fp Cgil Medici di Medicina Generale. Pensiamo, comunque, che alla fine si arriverà ad un compromesso poiché già nell’ultimo contratto di convenzione con il SSN, firmato nel 2024, c’erano gli strumenti per definire la partecipazione oraria dei medici di famiglia nelle Case della salute.

Anche se, come sempre a tutti i livelli amministrativi, salari differenziati ed incentivi meritocratici sarebbero la soluzione per creare maggiore efficienza.

Un percorso nuovo che dovrà necessariamente essere attivato dagli attori sanitari ed amministrativi, ma che dovrà essere anche conosciuto dai cittadini. E’ per questo motivo che sarà fondamentale una buona comunicazione a tutti i livelli, ma anche la realizzazione di corsi e di Interventi mass-mediatici per diffondere il nuovo messaggio e creare la nuova figura del paziente e del caregiver informato. Compito, quest’ultimo, che dovrà essere svolto da istituzioni ed associazioni qualificate e non dalla consultazione spesso fallace della Rete.

di Guido Francesco Guida

PER UNA NUOVA SANITA’ …

Le linee guida sono divenute il vangelo della moderna sanità. In tutte le sue fasi: dalla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione. Anche le strutture fisiche ed organizzative vi soggiacciono. Lo vuole l’Europa è il mantra ed il PNNR resiliente ed inclusivo è il piano d’intervento. Risolve tutto, soprattutto nella gestione del territorio, il grande assente nell’ultima pandemia. Certamente con la più o meno velata complicità dei governi sanitari che l’hanno gestita. Le linee guida recitavano: tachipirina, vigile attesa e perfino sanzioni per i sanitari disobbedienti. Quelli che cercavano di arginare l’abbandono dei pazienti. Il refrein ha fatto scuola e si è istituzionalizzato.

ospedale

Finita la pandemia, da tempo invece l’accento si pone sulle “liste di attesa” responsabili di tutti i mali. Paginate di giornali. Commissioni ridondanti. Senza che ci si chieda cosa riguardino tali prestazioni. In attesa come dei molossi, se siano appropriate (diversi studi ne evidenziano un 40% inutili) e, quindi, se meritino di  essere espletate. Poi subentra la logica, ormai divenuta imperante, che di fronte ad un problema non si cerca di intervenire sulla fonte del problema, ma si pensa che la soluzione sia quella di aumentare le risorse fisiche ed umane. E, se non basta, si fanno venire dall’estero. Così tutto si risolverà. Poco importa l’efficienza.  Sindacati, forze politiche e stampa saranno soddisfatti.  L’importante è non creare conflitti altrimenti il consenso si attenua. Anche se fortunatamente, in quest’ultimo anno, sembra che l’approccio sia stato più ragionevole. Si è fatta un’analisi dei bisogni di salute. A parere di molti sottovalutata. Si è passati alla realizzazione di progetti che comprendono; case della comunità (i vecchi PTA che poco funzionavano ed a cui è stato cambiato il nome), ospedali di comunità e centrali operative territoriali (COT).

Ma torniamo alle linee guida.

Le linee guida sono veramente state una rivoluzione nell’approccio alla salute. Negli anni ’70 si è passati dal soggettivo e fallace ipse dixit (l’ha detto quel medico, quel barone, quel primario e quindi è giusto) alle carismatiche linee guida. Documenti di consenso che nascono con l’obiettivo di guidare le decisioni ed i criteri relativi alla diagnosi, gestione e trattamento di una certa condizione clinica. Giusto e ragionevole tale passaggio che tenta di porre in primo piano la ricerca, le novità, il dubbio, il lavorio costante e controverso della medicina e delle scienze in generale. La tesi e l’antitesi, di hegeliana memoria, che cercano una sintesi attraverso il costante vaglio della prova, dell’esperienza galileiana. Giungendo ad una sintesi – temporanea – che dovrà essere sottoposta all’esame della pratica clinica per valutarne l’efficacia attraverso studi trasversali, longitudinali, trial clinici randomizzati sperimentali. Ma va sempre così? Chi fa parte del panel che definisce tali linee guida? Panel che dovrebbero essere assolutamente obbiettivo e  privo di conflitti di interessi. Certamente medici/chirurghi competenti ed illuminati, biologi, professionisti sanitari, statistici. Ma questo è sufficiente?

Il ruolo del paziente

Quale è  il ruolo e la presenza del paziente e delle associazioni del terzo settore che lo rappresentano?
Sul tema, invero, è da tempo in corso,  anche sulle maggiori riviste mediche internazionali,  un grande dibattito. Soprattutto su due importanti temi:
– Ancora poca trasparenza tra i partecipanti alla stesura delle linee guida;
– Il vantaggio di includere preferenze ed esperienze dei pazienti anche tramite associazioni che li rappresentano per migliorare le linee guida cliniche.
Il primo tema merita un approccio molto documentato e che comunque va  affrontato a parte ed in diverse sedi. Qui ci soffermiamo brevemente sul secondo tema.
Includere i pazienti non significa che debbano essere loro sottoposti rilevanti temi scientifici, ma piuttosto che un nuovo bagaglio di evidenze qualitative soggettive potrebbe aiutare gli autori ad identificare particolari condizioni e ad considerare specifiche raccomandazioni. Soltanto così, infatti, le linee guida potranno diventare più informate, accettate e ricche di specifici contenuti aderenti alla realtà.
Quest’ultimo elemento è anche la base di uno dei maggiori temi nella Sanità delle nazioni più evolute e  che viene definito come Value-Based Healthcare (VBH). Un sistema che, a parole, è propugnato anche dal famoso PNRR e che è basato sul rapporto tra il benessere reale delle persone ed i costi sostenuti nel ciclo di cura. È l’assistenza basata sulla persona (Patient centered care) che richiede di considerare in primis le determinanti che portano all’attribuzione di valore da parte del paziente.
Infatti in questo ambito è noto:
– che il valore attribuito dal paziente è spesso diverso rispetto a quello attribuito dai portatori di interesse nell’azienda salute (stakeholder);
– che, checche’ se ne dica, non tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento per la stessa malattia sia per determinanti oggettive (genere, razza, origini culturali e sociali) che soggettive, perché spesso i pazienti (e le loro famiglie) vogliono essere trattati in base alle loro preferenze;
– che la qualità della cura data in termini di outcome (risultato) per i pazienti differisce molto in rapporto alla sede geografica ed alla struttura in cui viene praticata;
– che la mancanza di standard di qualità affidabili e di obiettivi nazionali rende difficili le valutazioni ed i confronti tra i diversi nuclei di cura;
– Infine che se in campo medico, il significato attribuito alla qualità dipende dalle capacità del medico, dai risultati del laboratorio o dalla performance chirurgica, da parte del paziente l’attribuzione di valore viene dato spesso da una buona e comprensibile comunicazione, dalla lunghezza dell’attesa, dalla gentilezza del medico, dalla presenza di eventi avversi nelle terapie e ultimo, ma non meno importante, dalla presenza di facilities nella struttura, non ultima la bontà del caffè servito.

Conseguentemente la percezione del valore attribuito dal medico può grandemente differire da quella del paziente con serie ricadute non solo sulla “patient satisfaction”, ma anche sugli outcome clinici.
Questo incide profondamente sulla tenuta dello stesso SSN dove ancora la soggettività e l’appartenenza la fa da padrona. L’invecchiamento della popolazione, il peggioramento delle determinanti sociali della salute, le maggiori aspettative dei pazienti, l’alto costo dei nuovi trattamenti, il danno derivante dal crescente inquinamento ambientale, contribuiscono ad una crescente richiesta di salute che tarda ad essere soddisfatta e che spesso non trova adeguate risposte.
Allora oltre ai COT, alle case ed agli ospedali di comunità, che ben venga anche la presenza dei pazienti, dei familiari e delle associazioni dei pazienti per suggerire, orientare e valutare nella definizione non solo delle linee guida, ma anche nella declinazione nella pratica delle stesse. E ciò a livello regionale, di ospedale e di ASP. Solo così  otterremo un’assistenza medica sicura, efficace, tempestiva e partecipata da chi la riceve. È questo il nostro auspicio e quello di una categoria sociale a cui prima o poi tutti apparterremo: i pazienti.

di Guido Francesco Guida

CRISI SOCIETA’ SCIENTIFICHE. CAUSE E POSSIBILI SOLUZIONI

“Si ostinano a mantenere inalterate certe liturgie, come congressi nazionali o regionali, che sono divenute mere sfilate di oligarchie stantie rappresentative soltanto della loro vanagloria” questo il commento di diversi attenti osservatori sul comportamento di buona parte delle attuali società scientifiche in ambito medico-chirurgico. Comportamenti che le porrebbero lontane dalla New Jersey Medical Society, storicamente nota come la prima società scientifica che in quel lontano 23 luglio 1766 nasceva “for the avancement of profession and the promotion of public health.

             In Italia si stima che circa 1/3 dei medici abbia fatto parte di una delle 350 e più società scientifiche che, con poche eccezioni, hanno prodotto o sponsorizzano una pletora di migliaia di corsi, ECM, congressi e siti informatici tronfi e sclerotizzati. Questo il panorama apparente e passato poichè oggi assistiamo

iphone 588ad una crisi della maggior parte di tali società scientifiche dovuta non solo alla recente pandemia da Covid-19, ma a ragioni pratiche e di sostanza. Crisi che si concretizza in una scarsa partecipazione alle occasionali iniziative societarie non solo di natura scientifica. E in una riduzione del numero degli iscritti attivi – spesso non noti – e  che comunque fonti qualificate segnalano andare dal 50 al 60% ed, in taluni casi, spingersi fino all’80-90%. Le cause non possono essere attribuite solo a carenza di fondi, ma ragionevolmente possono essere catalogate, per chiarezza di esposizione, in esterne – in buona parte subite – ed interne, talora volute.

Tra le esterne ricordiamo:

  • quelle legate fondamentalmente all’Information overload o sovraccarico informativo che è il risultato dell’esposizione degli individui a una quantità di informazioni superiore alla loro capacità di elaborazione. Ciò comporta conseguenze sull’attenzione, sulla comprensione e sulla capacità di prendere delle decisioni. Principali esempi di sovraccarico derivano da: teleconferenze e meeting, giornali on line, scientific open access sulla rete, forme di interazione informatiche sia unidirezionali (e-mail, blog) che circolari (social network, whatsapp, gruppi di discussione);
  • quelle Culturali: attengono ai valori disciplinari rappresentati e custoditi dalle società scientifiche ed, in definitiva, all’oggetto sociale. Le Società non aggiornano il corpus di conoscenze e competenze che connotano la loro disciplina adeguandolo ai cambiamenti della medicina e della società per cui non sono più percepite come fonte della normatività professionale nei confronti del mercato sanitario; le linee guida sono la nuova scienza e divenute ormai sempre più transnazionali hanno difficoltà ad affermarsi in ambito sanitario che necessità di medicina di prossimità e di personalizzazione. La Società scientifica non è più percepita come un riferimento, un soggetto forte, indipendente da interessi personali e generali.  Conseguentemente la Società non appare all’esterno come un soggetto forte di advocacy. Intendendo per advocacy quell’insieme di azioni con cui un soggetto si fa promotore e sostiene attivamente la causa. Nel campo della salute, in particolare, viene meno percepito lo sforzo nell’indirizzare o modificare le politiche pubbliche e la destinazione di risorse in una direzione favorevole alla salute dei singoli cittadini e della comunità. Ad esempio riferendosi al motto della Società Europea di Cardiologia (ESC) – to reduce the burden of cardiovascular disease – viene poco percepito l’impegno affinchè si riduca  l’impatto delle malattie cardiovascolari;
  • quelle Sociologiche: conseguenti ai mutamenti dell’organizzazione sanitaria. Tra di esse da segnalare: l’invecchiamento degli iscritti, la crisi delle vocazioni, l’antico contrasto tra esigenze e ruolo dei membri scientificamente attivi e quelli non attivi.

Tra le interne ricordiamo:

  • reiterazione e comunanza di temi scientifici, con chiusura dell’impegno in attività non gratificanti per i propri membri. Come, ad esempio, l’impegno sociale (presenza nei comitati di controllo ed indirizzo socio-sanitario, campagne educazionali etc…). Spesso poi accade il voler racchiudere il ruolo di una Società nel congresso annuale opera del singolo o di pochi oppure nella pletora di riunioni da provider di ECM. Ciò non fidelizza i soci. Spesso infatti assistiamo ad un tipico bias egocentrico del gruppo direttivo, a quella illusione adattativa per cui tendiamo ad attribuirci successi e comportamenti positivi. Il governo degli “eletti” inaridisce presto la Società e la trasforma in una conventicola di nessuna rilevanza e senza alcun seguito reale;
  • conflittualità tra correnti ospedaliere, universitarie e territoriali. Eccessivo frazionamento in subspecialità sbilanciate sull’organizzazione di eventi coincidenti con gli interessi degli sponsor più che sulle esigenze dei professionisti. Eventi ricchi di lanci di certi studi o auspicabili soluzioni più che di conoscenze acclarate, pratiche professionali e governo clinico;
  • ciò porta a mancanza spesso di una robusta leadership oggettiva e responsabile. La accountability di persone e azioni del “consiglio direttivo” deve essere la regola. Intendendo per accountability non solo il sinonimo di trasparenza, apertura o buon governo, ma il rendere conto della propria condotta nei confronti dei soci. Ricordando che la responsabilità da parte degli amministratori che impiegano il capitale societario dovrebbe avvenire sia sul piano della regolarità dell’azione che su quello dell’efficacia della gestione. Quindi assistiamo spesso a carenza di capacità e responsabilità della leadership. A scarsa consapevolezza di rappresentare i valori core della Società. Dovrebbe inoltre essere sempre garantita credibilità culturale e morale e indipendenza da industria e fornitori. Tutti elementi alla base di un corretto rapporto leadership-soci fondamento di credibilità e soluzione per la soluzione di problemi scientifici, ma anche organizzativi e professionali. iphone 161
  • capacità di essere attrattivi nei confronti dei soci presenti e futuri mantenendo ed irrobustendo il brand anche con gruppi di lavoro e studi condivisi. Questi ultimi oggettivamente importanti sia per il socio che per i pazienti cittadini. Una buona leadership dovrebbe poi anche proporre occasioni di incontro ed anche di svago.

 

Possibili soluzioni:

  • componente fondamentale in una società scientifica nazionale è la Regionalizzazione degli interessi base di una formazione “close to members” per bisogni, disegno formativo e verifica degli outcome.  Utile anche una assistenza ai soci per la ricerca, attenta a criteri metodologici. Ed ancora mentoring e supporto nei codici di condotta nel corso della soluzione di problemi organizzativi e professionali. Una forma di democrazia culturale partecipativa e della periferizzazione (in Italia oggi diremmo federalismo) con coinvolgimento dei soci e delle attività scientifiche e formative;
  • partecipazione a panel o gruppi di lavoro, promozione del networking scientifico con supporto e promozione della ricerca, qualificazione verso posizioni di leadership ed  internazionalizzazione;
  • nuove forme di networking adeguate all’era elettronica (portale, giornali, meeting), cyber-meeting in grado di sostituire gli incontri di presenza, giornali on line e open access sfruttando regolari forme di comunicazione come e-mail, blog e social network);
  • nuovi ruoli per gli “emeriti” e forme di stimolo per i “giovani” professionisti con nuove contropartite  tra membri scientificamente attivi e non attivi;
  • fondamentale anche la partecipazione dei pazienti tramite focus group e coinvolgimento delle loro associazioni anche in sede decisionale per la realizzazione di protocolli e linee guida;
  • aggiornamento continuo del corpus di conoscenze e competenze che connota la/e disciplina/e oggetto societario adeguandolo ai cambiamenti della medicina e della società; ciò consentirà alle leadership nazionali e locali di coinvolgere i soci in attività di “advocacy”. In altri termini: campagne di opinione sui mass media e social network, studi e ricerche divulgati mediante convegni e seminari, manifestazioni di piazza, incontri con esponenti politici ed istituzionali, alleanze e reti con associazioni di pazienti, ricorso a testimonial noti al pubblico, etc…;
  • sviluppo del know-how professionale per una visione ampia ed olistica delle odierne  malattie che sappiamo oggi essere spesso complesse, polifattoriali e multiorgano;
  • fundraising che è il processo di raccolta fondi per sostenere un’organizzazione o un progetto. Chiaramente organizzato ed attraente e basato su competenza, visibilità e buona reputazione. Deve avere alla base un piano d’azione legato ad una efficace comunicazione che sfrutta uno storytelling d’impatto.  Ricordando sempre che il vero motore del fundraising sono le persone (soci in primis, ma anche istituzioni, pazienti e cittadini); persone che, da parte associativa, debbono essere basate su una coerenza morale e valoriale contenuta in rigorose norme statutarie che esaltino il merito, la trasparenza e l’indipendenza;
  • e last but not least un’efficiente comunicazione. Non trascurata a lasciata al caso. Una buona comunicazione infatti, come in tutte le organizzazioni, è capace di garantire e migliorare il brand superando le criticità, esaltando i punti di forza e consentendo così di ritrovare l’identità e l’immagine. Il tutto programmato attraverso un adeguato piano di comunicazione che definisca, descriva e pianifichi pubblico, strategie, obiettivi e scadenze societarie. PC151122

Conclusioni

Solo tramite queste possibili soluzioni riteniamo sia possibile risalire la china e rilanciare il ruolo delle società scientifiche. Occorre abbandonare rendite di posizione e vanaglorie e ripartire da buoni ed indipendenti modelli di conoscenza ed organizzativi che comprendano le esigenze di una comunità aperta anche agli input dei cittadini/pazienti.  La ricerca, internet, i social, la pratica clinica ed una buona comunicazione saranno così amalgamati nel proporre una nuova visione della propria “mission”.   Un impegno (core business) che porti le nuove società scientifiche a contribuire alla realizzazione di una migliore pratica clinica fondata su modelli organizzativi fruibili nei nuovi e diversi setting clinico-assistenziali che le nostre comunità scientifiche si apprestano a sperimentare.

Guido Francesco Guida

INQUINAMENTO DELL’ARIA LEGATO ALLE ARITMIE CARDIACHE MORTALI. Utilità dei depuratori

inquinamentoL’inquinamento causa problemi non solo ai polmoni, ma anche al cuore.

Questo secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’ospedale Maggiore di Bologna. A seguito dell’inquinamento nell’atmosfera si forma una miscela complessa di particelle solide e liquide di sostanze organiche ed inorganiche sospese in aria detta particolato. Ad oggi esso è il maggior inquinante nelle aree urbane. I componenti principali sono: solfati, nitrati, ione di ammonio, cloruro di sodio, particelle carboniose, polvere minerale ed acqua. In base al diametro aerodinamico è suddiviso in:

PM10 con diametro aerodinamico inferiore a 10 µm, in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio;

PM2.5 con diametro aerodinamico inferiore a 2.5 µm, in grado di raggiungere i polmoni ed i bronchi secondari.

Le particelle fini presentano lunghi tempi di permanenza in atmosfera e possono essere trasportate anche a grande distanza dal punto di emissione. Il particolato fine può veicolare inoltre sulla sua superficie altri inquinanti come ad esempio metalli pesanti e idrocarburi (idrocarburi policiclici aromatici ad alto peso molecolare). L’insieme complessivo delle particelle sospese prende il nome di PTS (Particolato Totale Sospeso). Tra le PTS rientra anche l’amianto che è cancerogeno ed alcuni composti del piombo che hanno un alto grado di tossicità.

Principali fonti di emissione

Il particolato in parte è emesso come tale direttamente dalle sorgenti in atmosfera (primario) ed in parte si forma in atmosfera attraverso reazioni chimiche fra altre specie inquinanti (secondario). La natura delle particelle aereodisperse è molto varia: ne fanno parte le polveri sospese, il materiale organico disperso dai vegetali (pollini e frammenti di piante), il materiale inorganico prodotto da agenti naturali (vento e pioggia), dall’erosione del suolo o dei manufatti (frazione più grossolana). Tra le fonti antropiche che emettono particolato vi sono alcune attività industriali (fonderie, cementifici, cantieri edili, miniere), i processi di combustioni relative a centrali termoelettriche, gli inceneritori, il riscaldamento ed il traffico autoveicolare (in particolare i motori diesel). Nelle aree urbane, il particolato può avere origine anche dall’usura dell’asfalto, dei pneumatici, dei freni, delle frizioni.

La ricerca

Lo studio ha esaminato gli effetti del particolato sulle aritmie cardiache. «Il nostro studio suggerisce che i pazienti ad alto rischio di aritmie ventricolari, come ad esempio i portatori di un defibrillatore ventricolare, dovrebbero controllare giornalmente l’inquinamento dell’aria. Infatti quando il particolato (PM) 2.5 e 10 presentano alti livelli (sopra 35 μg/m3 e 50 μg/m3, rispettivamente, sarebbe consigliato rimanere a casa il più a lungo possibile and indossare all’esterno una mascherina N95 particolarmente nelle zone a traffico automobilistico elevato. Un depuratore d’aria potrebbe essere utilizzato a casa» ha detto Alessia Zanni autrice dello studio.

Guido Francesco Guida

CONFERMATO: LE NOCI AIUTANO IL CUORE di Guido Francesco Guida

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Che la frutta secca, e tra di essa le noci, prevenissero le malattie cardiovascolari era noto da tempo, ma asesso un nuovo studio ne chiarisce il meccanismo. Si tratta di uno studio condotto da Sujatha Rajaram e collaboratori e pubblicato a fine agosto 2021 sulla prestigiosa rivista scientifica americana Circulation. Le noci, infatti, oltre che ridurre i livelli ematici del colesterolo LDL (cattivo), migliorano la struttura di tali particelle. Lo studio comprendeva 709 persone tra i 63 e i 79 anni residenti in Spagna (Barcellona) o in California (Loma Linda) le quali sono state assegnate a un gruppo di intervento, il quale doveva consumare 30/60 g di noci al giorno, o a un gruppo controllo, che non doveva mangiarne. Al termine dei 2 anni, il 90% dei partecipanti aveva completato lo studio e i dati delle analisi delle lipoproteine erano disponibili per 628. Ebbene, nel gruppo di intervento si è osservata una riduzione del colesterolo LDL di 4,3 mg/dl, del colesterolo totale di 8,5 mg/dl, e anche del colesterolo IDL (Intermediate Density Lipoprotein; un precursore dell’LDL) di 1,3 mg/dl. A diminuire con le noci è stato anche il numero totale di particelle LDL (del 4,3%) e il numero di particelle piccole (del 6,1%). Si è visto, inoltre, che la risposta lipidica alle noci cambiava a seconda del sesso: il colesterolo LDL è diminuito del 7,9% negli uomini e del 2,6% nelle donne. Occore evidenziare che all’inizio i partecipanti erano sani. Una metà è veniva trattata per ipertensione e ipercolesterolemia e che l’uso di statine in una percentuale di essi ha permesso che i livelli medi di colesterolo nello studio fossero normali. «Per gli individui con altri livelli di colesterolo ematico, la riduzione del colesterolo LDL dopo una dieta arricchita con noci può essere ancora più grande» ha affermato Emilio Ros, dell’Hospital Clínic di Barcellona, uno degli autori dello studio.

TELEFONINI E CANCRO: TROVATA UNA CONNESSIONE

di Guido Francesco Guida

Continua la querelle sull’eventuale danno per la salute prodotto da un uso prolungato dei telefonini. Questa volta si tratta dei risultati uno studio durato due anni e condotto sui topi dall’agenzia federale USA National Toxicology Program (NTP) la quale avrebbe evidenziato nel genere maschile un legame con alcuni tipi di cancro. Lo studio, costato 25 milioni di dollari, è stato condotto su oltre 2.500 ratti e topi che sono stati esposti agli effetti delle più comuni onde wireless GSM e GDMA (900 megahertz i ratti e 1900 megahertz i topi) in 21 camere appositamente progettate. Il tempo di esposizione dei ratti è stato di 10 minuti seguiti da una pausa di pari tempo per 18 ore per un totale di 9 ore di esposizione al giorno. I ratti che furono espostelefoniniti alle radiofrequenze in utero hanno mostrato avere un peso leggermente più basso alla nascita. I risultati ottenuti sui topi non sono stati ancora resi noti. Pur essendo stata ripresa da diverse testate giornalistiche invero la notizia è una anticipazione poiché lo studio completo sarà pubblicato nel 2017. I tumori sviluppati sarebbero qulli in qualche modo già legati alle radiofrequenze e cioè i gliomi maligni nel cervello e gli schwannomi nel cuore dei ratti maschi esposti. Finora i risultati di studi condotti in questo settore sono stati piuttosto contrastanti. Infatti se da una parte alcuni studi europei (progetto europeo Interphone) ed australiani avevano escluso alcun tipo di rapporto causa effetto tra le microonde prodotte dai cellulari ed il cancro, l’Organizzazione mondiale della sanità nel 2011 aveva classificato, basandosi su alcuni studi in laboratorio e su ricerche epidemiologiche, le radiofrequenze nel gruppo 2b. Cioè come ‘possibili agenti cancerogeni’ per gli stessi tipi di tumori riportati dalla ricerca dell’NTP.
Il presidente dell’EHT Devra Davis, è sicura che il risultato ottenuto negli animali possa essere trasferito agli umani ed ha dichiarato che “ dovremmo iniziare una seria discussione “su cosa può essere fatto adesso per prevenire un potenziale disastro pubblico mentre abbiamo ancora tempo per farlo”.
A questo punto, considerata la sempre crescente diffusione di questo mezzo di comunicazione, senza voler creare infondati allarmismi, nell’attesa della pubblicazione dello studio NTP si ritiene di consigliare, comunque, un uso dei telefonini non prolungato e ad una adeguata distanza dagli eventuali organi bersaglio di radiazioni.
Fonte foto: motherjoines.com