“Si ostinano a mantenere inalterate certe liturgie, come congressi nazionali o regionali, che sono divenute mere sfilate di oligarchie stantie rappresentative soltanto della loro vanagloria” questo il commento di diversi attenti osservatori sul comportamento di buona parte delle attuali società scientifiche in ambito medico-chirurgico. Comportamenti che le porrebbero lontane dalla New Jersey Medical Society, storicamente nota come la prima società scientifica che in quel lontano 23 luglio 1766 nasceva “for the avancement of profession and the promotion of public health.“
In Italia si stima che circa 1/3 dei medici abbia fatto parte di una delle 350 e più società scientifiche che, con poche eccezioni, hanno prodotto o sponsorizzano una pletora di migliaia di corsi, ECM, congressi e siti informatici tronfi e sclerotizzati. Questo il panorama apparente e passato poichè oggi assistiamo
ad una crisi della maggior parte di tali società scientifiche dovuta non solo alla recente pandemia da Covid-19, ma a ragioni pratiche e di sostanza. Crisi che si concretizza in una scarsa partecipazione alle occasionali iniziative societarie non solo di natura scientifica. E in una riduzione del numero degli iscritti attivi – spesso non noti – e che comunque fonti qualificate segnalano andare dal 50 al 60% ed, in taluni casi, spingersi fino all’80-90%. Le cause non possono essere attribuite solo a carenza di fondi, ma ragionevolmente possono essere catalogate, per chiarezza di esposizione, in esterne – in buona parte subite – ed interne, talora volute.
Tra le esterne ricordiamo:
- quelle legate fondamentalmente all’Information overload o sovraccarico informativo che è il risultato dell’esposizione degli individui a una quantità di informazioni superiore alla loro capacità di elaborazione. Ciò comporta conseguenze sull’attenzione, sulla comprensione e sulla capacità di prendere delle decisioni. Principali esempi di sovraccarico derivano da: teleconferenze e meeting, giornali on line, scientific open access sulla rete, forme di interazione informatiche sia unidirezionali (e-mail, blog) che circolari (social network, whatsapp, gruppi di discussione);
- quelle Culturali: attengono ai valori disciplinari rappresentati e custoditi dalle società scientifiche ed, in definitiva, all’oggetto sociale. Le Società non aggiornano il corpus di conoscenze e competenze che connotano la loro disciplina adeguandolo ai cambiamenti della medicina e della società per cui non sono più percepite come fonte della normatività professionale nei confronti del mercato sanitario; le linee guida sono la nuova scienza e divenute ormai sempre più transnazionali hanno difficoltà ad affermarsi in ambito sanitario che necessità di medicina di prossimità e di personalizzazione. La Società scientifica non è più percepita come un riferimento, un soggetto forte, indipendente da interessi personali e generali. Conseguentemente la Società non appare all’esterno come un soggetto forte di advocacy. Intendendo per advocacy quell’insieme di azioni con cui un soggetto si fa promotore e sostiene attivamente la causa. Nel campo della salute, in particolare, viene meno percepito lo sforzo nell’indirizzare o modificare le politiche pubbliche e la destinazione di risorse in una direzione favorevole alla salute dei singoli cittadini e della comunità. Ad esempio riferendosi al motto della Società Europea di Cardiologia (ESC) – to reduce the burden of cardiovascular disease – viene poco percepito l’impegno affinchè si riduca l’impatto delle malattie cardiovascolari;
- quelle Sociologiche: conseguenti ai mutamenti dell’organizzazione sanitaria. Tra di esse da segnalare: l’invecchiamento degli iscritti, la crisi delle vocazioni, l’antico contrasto tra esigenze e ruolo dei membri scientificamente attivi e quelli non attivi.
Tra le interne ricordiamo:
- reiterazione e comunanza di temi scientifici, con chiusura dell’impegno in attività non gratificanti per i propri membri. Come, ad esempio, l’impegno sociale (presenza nei comitati di controllo ed indirizzo socio-sanitario, campagne educazionali etc…). Spesso poi accade il voler racchiudere il ruolo di una Società nel congresso annuale opera del singolo o di pochi oppure nella pletora di riunioni da provider di ECM. Ciò non fidelizza i soci. Spesso infatti assistiamo ad un tipico bias egocentrico del gruppo direttivo, a quella illusione adattativa per cui tendiamo ad attribuirci successi e comportamenti positivi. Il governo degli “eletti” inaridisce presto la Società e la trasforma in una conventicola di nessuna rilevanza e senza alcun seguito reale;
- conflittualità tra correnti ospedaliere, universitarie e territoriali. Eccessivo frazionamento in subspecialità sbilanciate sull’organizzazione di eventi coincidenti con gli interessi degli sponsor più che sulle esigenze dei professionisti. Eventi ricchi di lanci di certi studi o auspicabili soluzioni più che di conoscenze acclarate, pratiche professionali e governo clinico;
- ciò porta a mancanza spesso di una robusta leadership oggettiva e responsabile. La accountability di persone e azioni del “consiglio direttivo” deve essere la regola. Intendendo per accountability non solo il sinonimo di trasparenza, apertura o buon governo, ma il rendere conto della propria condotta nei confronti dei soci. Ricordando che la responsabilità da parte degli amministratori che impiegano il capitale societario dovrebbe avvenire sia sul piano della regolarità dell’azione che su quello dell’efficacia della gestione. Quindi assistiamo spesso a carenza di capacità e responsabilità della leadership. A scarsa consapevolezza di rappresentare i valori core della Società. Dovrebbe inoltre essere sempre garantita credibilità culturale e morale e indipendenza da industria e fornitori. Tutti elementi alla base di un corretto rapporto leadership-soci fondamento di credibilità e soluzione per la soluzione di problemi scientifici, ma anche organizzativi e professionali.
- capacità di essere attrattivi nei confronti dei soci presenti e futuri mantenendo ed irrobustendo il brand anche con gruppi di lavoro e studi condivisi. Questi ultimi oggettivamente importanti sia per il socio che per i pazienti cittadini. Una buona leadership dovrebbe poi anche proporre occasioni di incontro ed anche di svago.
Possibili soluzioni:
- componente fondamentale in una società scientifica nazionale è la Regionalizzazione degli interessi base di una formazione “close to members” per bisogni, disegno formativo e verifica degli outcome. Utile anche una assistenza ai soci per la ricerca, attenta a criteri metodologici. Ed ancora mentoring e supporto nei codici di condotta nel corso della soluzione di problemi organizzativi e professionali. Una forma di democrazia culturale partecipativa e della periferizzazione (in Italia oggi diremmo federalismo) con coinvolgimento dei soci e delle attività scientifiche e formative;
- partecipazione a panel o gruppi di lavoro, promozione del networking scientifico con supporto e promozione della ricerca, qualificazione verso posizioni di leadership ed internazionalizzazione;
- nuove forme di networking adeguate all’era elettronica (portale, giornali, meeting), cyber-meeting in grado di sostituire gli incontri di presenza, giornali on line e open access sfruttando regolari forme di comunicazione come e-mail, blog e social network);
- nuovi ruoli per gli “emeriti” e forme di stimolo per i “giovani” professionisti con nuove contropartite tra membri scientificamente attivi e non attivi;
- fondamentale anche la partecipazione dei pazienti tramite focus group e coinvolgimento delle loro associazioni anche in sede decisionale per la realizzazione di protocolli e linee guida;
- aggiornamento continuo del corpus di conoscenze e competenze che connota la/e disciplina/e oggetto societario adeguandolo ai cambiamenti della medicina e della società; ciò consentirà alle leadership nazionali e locali di coinvolgere i soci in attività di “advocacy”. In altri termini: campagne di opinione sui mass media e social network, studi e ricerche divulgati mediante convegni e seminari, manifestazioni di piazza, incontri con esponenti politici ed istituzionali, alleanze e reti con associazioni di pazienti, ricorso a testimonial noti al pubblico, etc…;
- sviluppo del know-how professionale per una visione ampia ed olistica delle odierne malattie che sappiamo oggi essere spesso complesse, polifattoriali e multiorgano;
- fundraising che è il processo di raccolta fondi per sostenere un’organizzazione o un progetto. Chiaramente organizzato ed attraente e basato su competenza, visibilità e buona reputazione. Deve avere alla base un piano d’azione legato ad una efficace comunicazione che sfrutta uno storytelling d’impatto. Ricordando sempre che il vero motore del fundraising sono le persone (soci in primis, ma anche istituzioni, pazienti e cittadini); persone che, da parte associativa, debbono essere basate su una coerenza morale e valoriale contenuta in rigorose norme statutarie che esaltino il merito, la trasparenza e l’indipendenza;
- e last but not least un’efficiente comunicazione. Non trascurata a lasciata al caso. Una buona comunicazione infatti, come in tutte le organizzazioni, è capace di garantire e migliorare il brand superando le criticità, esaltando i punti di forza e consentendo così di ritrovare l’identità e l’immagine. Il tutto programmato attraverso un adeguato piano di comunicazione che definisca, descriva e pianifichi pubblico, strategie, obiettivi e scadenze societarie.
Conclusioni
Solo tramite queste possibili soluzioni riteniamo sia possibile risalire la china e rilanciare il ruolo delle società scientifiche. Occorre abbandonare rendite di posizione e vanaglorie e ripartire da buoni ed indipendenti modelli di conoscenza ed organizzativi che comprendano le esigenze di una comunità aperta anche agli input dei cittadini/pazienti. La ricerca, internet, i social, la pratica clinica ed una buona comunicazione saranno così amalgamati nel proporre una nuova visione della propria “mission”. Un impegno (core business) che porti le nuove società scientifiche a contribuire alla realizzazione di una migliore pratica clinica fondata su modelli organizzativi fruibili nei nuovi e diversi setting clinico-assistenziali che le nostre comunità scientifiche si apprestano a sperimentare.
Guido Francesco Guida