Le linee guida sono divenute il vangelo della moderna sanità. In tutte le sue fasi: dalla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione. Anche le strutture fisiche ed organizzative vi soggiacciono. Lo vuole l’Europa è il mantra ed il PNNR resiliente ed inclusivo è il piano d’intervento. Risolve tutto, soprattutto nella gestione del territorio, il grande assente nell’ultima pandemia. Certamente con la più o meno velata complicità dei governi sanitari che l’hanno gestita. Le linee guida recitavano: tachipirina, vigile attesa e perfino sanzioni per i sanitari disobbedienti. Quelli che cercavano di arginare l’abbandono dei pazienti. Il refrein ha fatto scuola e si è istituzionalizzato.
Finita la pandemia, da tempo invece l’accento si pone sulle “liste di attesa” responsabili di tutti i mali. Paginate di giornali. Commissioni ridondanti. Senza che ci si chieda cosa riguardino tali prestazioni. In attesa come dei molossi, se siano appropriate (diversi studi ne evidenziano un 40% inutili) e, quindi, se meritino di essere espletate. Poi subentra la logica, ormai divenuta imperante, che di fronte ad un problema non si cerca di intervenire sulla fonte del problema, ma si pensa che la soluzione sia quella di aumentare le risorse fisiche ed umane. E, se non basta, si fanno venire dall’estero. Così tutto si risolverà. Poco importa l’efficienza. Sindacati, forze politiche e stampa saranno soddisfatti. L’importante è non creare conflitti altrimenti il consenso si attenua. Anche se fortunatamente, in quest’ultimo anno, sembra che l’approccio sia stato più ragionevole. Si è fatta un’analisi dei bisogni di salute. A parere di molti sottovalutata. Si è passati alla realizzazione di progetti che comprendono; case della comunità (i vecchi PTA che poco funzionavano ed a cui è stato cambiato il nome), ospedali di comunità e centrali operative territoriali (COT).
Ma torniamo alle linee guida.
Le linee guida sono veramente state una rivoluzione nell’approccio alla salute. Negli anni ’70 si è passati dal soggettivo e fallace ipse dixit (l’ha detto quel medico, quel barone, quel primario e quindi è giusto) alle carismatiche linee guida. Documenti di consenso che nascono con l’obiettivo di guidare le decisioni ed i criteri relativi alla diagnosi, gestione e trattamento di una certa condizione clinica. Giusto e ragionevole tale passaggio che tenta di porre in primo piano la ricerca, le novità, il dubbio, il lavorio costante e controverso della medicina e delle scienze in generale. La tesi e l’antitesi, di hegeliana memoria, che cercano una sintesi attraverso il costante vaglio della prova, dell’esperienza galileiana. Giungendo ad una sintesi – temporanea – che dovrà essere sottoposta all’esame della pratica clinica per valutarne l’efficacia attraverso studi trasversali, longitudinali, trial clinici randomizzati sperimentali. Ma va sempre così? Chi fa parte del panel che definisce tali linee guida? Panel che dovrebbero essere assolutamente obbiettivo e privo di conflitti di interessi. Certamente medici/chirurghi competenti ed illuminati, biologi, professionisti sanitari, statistici. Ma questo è sufficiente?
Il ruolo del paziente
Quale è il ruolo e la presenza del paziente e delle associazioni del terzo settore che lo rappresentano?
Sul tema, invero, è da tempo in corso, anche sulle maggiori riviste mediche internazionali, un grande dibattito. Soprattutto su due importanti temi:
– Ancora poca trasparenza tra i partecipanti alla stesura delle linee guida;
– Il vantaggio di includere preferenze ed esperienze dei pazienti anche tramite associazioni che li rappresentano per migliorare le linee guida cliniche.
Il primo tema merita un approccio molto documentato e che comunque va affrontato a parte ed in diverse sedi. Qui ci soffermiamo brevemente sul secondo tema.
Includere i pazienti non significa che debbano essere loro sottoposti rilevanti temi scientifici, ma piuttosto che un nuovo bagaglio di evidenze qualitative soggettive potrebbe aiutare gli autori ad identificare particolari condizioni e ad considerare specifiche raccomandazioni. Soltanto così, infatti, le linee guida potranno diventare più informate, accettate e ricche di specifici contenuti aderenti alla realtà.
Quest’ultimo elemento è anche la base di uno dei maggiori temi nella Sanità delle nazioni più evolute e che viene definito come Value-Based Healthcare (VBH). Un sistema che, a parole, è propugnato anche dal famoso PNRR e che è basato sul rapporto tra il benessere reale delle persone ed i costi sostenuti nel ciclo di cura. È l’assistenza basata sulla persona (Patient centered care) che richiede di considerare in primis le determinanti che portano all’attribuzione di valore da parte del paziente.
Infatti in questo ambito è noto:
– che il valore attribuito dal paziente è spesso diverso rispetto a quello attribuito dai portatori di interesse nell’azienda salute (stakeholder);
– che, checche’ se ne dica, non tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento per la stessa malattia sia per determinanti oggettive (genere, razza, origini culturali e sociali) che soggettive, perché spesso i pazienti (e le loro famiglie) vogliono essere trattati in base alle loro preferenze;
– che la qualità della cura data in termini di outcome (risultato) per i pazienti differisce molto in rapporto alla sede geografica ed alla struttura in cui viene praticata;
– che la mancanza di standard di qualità affidabili e di obiettivi nazionali rende difficili le valutazioni ed i confronti tra i diversi nuclei di cura;
– Infine che se in campo medico, il significato attribuito alla qualità dipende dalle capacità del medico, dai risultati del laboratorio o dalla performance chirurgica, da parte del paziente l’attribuzione di valore viene dato spesso da una buona e comprensibile comunicazione, dalla lunghezza dell’attesa, dalla gentilezza del medico, dalla presenza di eventi avversi nelle terapie e ultimo, ma non meno importante, dalla presenza di facilities nella struttura, non ultima la bontà del caffè servito.
Conseguentemente la percezione del valore attribuito dal medico può grandemente differire da quella del paziente con serie ricadute non solo sulla “patient satisfaction”, ma anche sugli outcome clinici.
Questo incide profondamente sulla tenuta dello stesso SSN dove ancora la soggettività e l’appartenenza la fa da padrona. L’invecchiamento della popolazione, il peggioramento delle determinanti sociali della salute, le maggiori aspettative dei pazienti, l’alto costo dei nuovi trattamenti, il danno derivante dal crescente inquinamento ambientale, contribuiscono ad una crescente richiesta di salute che tarda ad essere soddisfatta e che spesso non trova adeguate risposte.
Allora oltre ai COT, alle case ed agli ospedali di comunità, che ben venga anche la presenza dei pazienti, dei familiari e delle associazioni dei pazienti per suggerire, orientare e valutare nella definizione non solo delle linee guida, ma anche nella declinazione nella pratica delle stesse. E ciò a livello regionale, di ospedale e di ASP. Solo così otterremo un’assistenza medica sicura, efficace, tempestiva e partecipata da chi la riceve. È questo il nostro auspicio e quello di una categoria sociale a cui prima o poi tutti apparterremo: i pazienti.
di Guido Francesco Guida